SONDALO – Nelle scorse ore è stata recuperata, a Sondalo, la stele di Migiondo, eccezionale reperto risalente a 5000 anni fa, per trasportarla al Museo dei Sanatori, dove è stata collocata in attesa di essere sottoposta ai primi interventi di restauro da parte della Soprintendenza.
La stele di Migiondo è un monolite inciso di eccezionale valore, che risale all’Età del Rame. È stata riportata alla luce due anni fa nel corso dello smantellamento di un tratto del muro di contenimento, lungo la strada comunale che collega Migiondo a Sondalo, per realizzare l’accesso a un’abitazione privata. Soltanto in un secondo momento erano state riconosciute le incisioni, quando era già stato impiegato nella realizzazione del nuovo muretto di contenimento dove è rimasto fino a ieri mattina.
La stele è realizzata da un blocco di gneiss, di color grigio-giallastro, lavorato fino ad assumere la forma di un parallelepipedo: misura 163 x 86 cm, dimensioni che ne fanno il più grande monolite inciso integro rinvenuto finora in Valtellina, per un peso di 1640 chilogrammi. Alla sommità del manufatto, nella parte centrale, è inciso un cerchio, forse a suggerire un volto, mentre lungo entrambi i fianchi sono raffigurate due coppie di asce. Nella porzione inferiore, è presente un pugnale nel fodero, al di sotto del quale è rappresentato un motivo composto da quattro festoni, il cinturone. Questi simboli ricorrono nel repertorio figurativo che caratterizza le stele e i massi incisi di Valcamonica e Valtellina.
Nei prossimi giorni il reperto verrà esaminato anche dai tecnici restauratori della Soprintendenza che ne valuteranno lo stato di conservazione e che eseguiranno i primi interventi di restauro. Il passo successivo vedrà la progettazione e l’organizzazione di una mostra interamente dedicata alla stele. L’intento, comune a tutti gli Enti coinvolti, è quello di rendere fruibile al pubblico questo straordinario reperto, che potrà essere ammirato all’interno dei suggestivi spazi del Museo dei Sanatori già a partire dalla prossima primavera.
“Oltre all’indiscutibile valore del manufatto – sottolinea Stefano Rossi, funzionario archeologo della Soprintendenza – questo rinvenimento è d’importanza fondamentale perché evidenzia chiaramente l’enorme potenziale archeologico di questa parte del territorio valtellinese e ci ricorda che i moltissimi chilometri di terrazzamenti della Valle nascondono ancora importantissime testimonianze del passato”.