SONDRIO – Era una domenica il 23 febbraio di due anni fa: da pochi giorni erano emersi i primi casi di coronavirus a Codogno e proprio dalla località della provincia di Lodi, sede di un istituto agrario, provenivano i ragazzi valtellinesi tornati a casa per il fine settimana. Uno di loro aveva manifestato sintomi evidenti: il tampone eseguito aveva confermato i sospetti e il direttore generale dell’Asst Tommaso Saporito aveva immediatamente convocato l’unità di crisi.
Altri casi, i molti anziani colpiti, la necessità di garantire cure adeguate a persone fragili a rischio della vita aveva consigliato di trasformare il Morelli in ospedale covid-19 per la provincia di Sondrio. A metà marzo i pazienti ricoverati erano già un centinaio e occupavano la metà circa dei posti letto dedicati ricavati nel primo e nel quarto padiglione. I sedici più gravi venivano curati in Terapia intensiva.
Un impegno organizzativo e del personale straordinario che il direttore generale Saporito in quei giorni così riassumeva: “Tutti i medici, a prescindere dalle specializzazioni, e gli infermieri stanno producendo uno sforzo eccezionale del quale tutti dobbiamo essere grati. Stanno lavorando con grande professionalità in condizioni difficili prodigandosi per prestare le cure necessarie ai malati: i cittadini devono sapere che il nostro sistema sanitario sta reggendo anche grazie all’impegno del personale, sanitario, tecnico e amministrativo. Uomini e donne straordinari dei quali dobbiamo essere fieri”.
Una situazione di maxi emergenza per uno sforzo massimo che era sostenuto dai moltissimi valtellinesi e valchiavennaschi, associazioni, aziende e privati cittadini, che donavano denaro e materiale sanitario: si arriverà a 1,7 milioni di euro complessivamente. A metà aprile, soltanto un mese e mezzo dopo i primi ricoveri, il Morelli accoglieva 220 malati covid-19, di cui 24 in Terapia intensiva, e i decessi arrivavano a 100.
Il sollievo dei mesi estivi era stato solo un intermezzo perché da ottobre, con la seconda ondata, i ricoveri risalivano: a novembre si sfiorava nuovamente la soglia dei 200 pazienti e tra novembre e dicembre, con la seconda ondata, si registravano 151 morti. A fine dicembre la svolta: il 27 veniva somministrato il vaccino a 50 operatori sanitari. Si proseguirà con tutti gli altri medici e infermieri, con gli immunodepressi e con gli ultraottantenni fino all’inizio della campagna vaccinale massiva, il 12 aprile 2021. Ricoveri e decessi diminuiscono drasticamente ma il virus non era sconfitto: tra dicembre e gennaio la variante Omicron colpiva i non vaccinati e le persone affette da altre patologie. Si arriva a più di 700 i ricoveri e a 30 morti in questo inizio d’anno. Oggi i ricoverati sono una quarantina, in lenta diminuzione giorno dopo giorno.
Qualche numero: nel 2020 sono stati ricoverati 1296 pazienti covid-19, 1169 nel 2021, ai quali si aggiungono i circa 700 di questi primi due mesi, per un totale di oltre 3100. In Terapia intensiva sono state accolte 89 persone nel 2020 e 114 nel 2021, oltre alle nove che in questo inizio d’anno sono state trasferite nei reparti dedicati di altri ospedali. Si sono registrati complessivamente 511 decessi, di cui 319 nel 2020 e 162 nel 2021. Oltre alle cure ospedaliere il sistema sanitario provinciale ha garantito ai cittadini il servizio dei tamponi molecolari attraverso i drive through e la vaccinazione massiva a partire da aprile dell’anno scorzo nei centri allestiti a Sondalo, Villa di Tirano, Sondrio, Morbegno e Chiavenna.
“La situazione è in netto miglioramento – conclude il direttore generale Saporito -: dobbiamo dire grazie al vaccino e rendere merito ai cittadini, la stragrande maggioranza della popolazione, che con senso di responsabilità hanno completato il ciclo vaccinale e hanno seguito le prescrizioni rimanendo in casa quando necessario e adottando le misure di sicurezza. Il virus non è ancora sconfitto ma intravediamo la fine del tunnel: la raccomandazione a chi non l’ha ancora fatto è di vaccinarsi per proteggere sé stessi e i propri familiari e tutelare le persone fragili. La nuova situazione ci consentirà a breve di ripartire a pieno regime con l’attività ospedaliera e ambulatoriale che in questi mesi ha subito un rallentamento a causa dell’impegno richiesto per la pandemia. Medici e infermieri, non più impegnati a curare i malati covid-19, ad effettuare vaccinazioni e tamponi, potranno tornare alle loro specialità”.